I miei genitori comprarono una casetta al mare nell’inverno del 2004. Con i risparmi di una vita trovarono una sistemazione per riscaldare le ossa durante i rigidi inverni dell’ Appennino. Mio padre l’aveva sempre detto che avrebbe passato la sua vecchiaia al sole e, convinta mia madre, firmarono quell’accordo di compravendita. La arredarono con gusto, pochi mobili di recupero che levigarono, sistemarono, pitturarono di bianco. Un bianco candido riflesso sul blu delle piastrelle e del cielo di Sardegna.
Passavano lì le loro estati. Mangiavano pesce comprato al porto che mia madre cucinava con il suo grembiule rosso. Leggevano il giornale in veranda, commentando le ultime notizie dal continente. Compravano il gelato alla sera, passeggiando mano nella mano sul lungomare.
Portavano con loro Camilla, Sofia e Giacomo, il figlio di mio fratello. Era la settimana dei nonni. Quelli che permettavano di andare a letto tardi, di mangiare le caramelle e di stare nell’acqua per ore. Quelli che leggevano le favole sotto il mirto e che cantavano le canzoni a squarciagola sulla strada per il mare.
L’estate scorsa partirono sulla Multipla rossa i nonni con Giacomo e Camilla. Mia mamma aveva organizzato tutto il trasferimento. Valigie, pentole e vestiti. Palette, secchielli e rastrelli. Mio padre aveva messo l’acqua nel radiatore, aveva controllato la pressione delle gomme. Con la promessa di rivederci una settimana dopo, mani e manine ci salutarono dal finestrino.
Li raggiungemmo la domenica. I bambini ci saltarono al collo, ci riempirono di baci e disegni.
La sera mangiammo attorno al tavolo in giardino. Il profumo del pesce si mischiava con il profumo di gelsomino. Facce di bimbi e di nonni abbronzati. Bottiglie di vino e di limoncello. Le candele di citronella che allontanavano le zanzare e l’oscurità. Una delle serate più piacevoli della mia vita.
I bambini si addormentarono sul dondolo con l’odore di salsedine ancora addosso. Noi adulti ci cullavamo al suono del frinire dei grilli e della voce di mio padre.
Lo guardai molte volte quella sera. Osservavo i suoi capelli ormai grigi, la sua nuca arrossata, la fossetta sulla guancia. Le sue mani che andavano a toccare la sua barba. I suoi gesti, la mano attorno al bicchiere, le dita sulla forchetta. Prima di andare a letto, quando ormai non avevo più la forza di tenere gli occhi aperti, gli passai accanto. Mi sorrise e mi toccò la mano.
<Ci vediamo domani, papà>
<Si, ti voglio portare a vedere il faro, in fondo alla spiaggia. Non sai come è bello sentire da lì, la risacca del mare>
La mattina dopo non si svegliò. Non si svegliò mai più.
Da un anno mio padre riposa nel cimitero vicino al mare. Da lì, riesce a sentire ogni giorno il suono delle onde.
Fine, pubblicità.
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