Mi stava aspettando al tavolo, lui, con le domande del rivedersi. “Cosa hai fatto a casa? Chi hai visto? Hai trovato incidenti in autostrada?” Per poi arrivare sempre allo stesso punto: amarci ed odiarci ferocemente. Tutte le settimane, tutti i sabati. Mi veniva a prendere al casello dell’autostrada, facevamo il viaggio fino a casa sua guardandoci negli specchietti retrovisori. Sottocasa, ci baciavamo a perdifiato. E poi, si ricominciava. Ognuno a deludere le aspettative dell’altro. A deludere quello che si era pianificato.
Avevo spinto lo sguardo più in là, oltre gli stecchini a forma di ananas. E l’ho sentito il peso di quegli occhi addosso.
Che mi stavano guardando, fissando il mio viso e il mio ridicolo vestito. Era la prima volta che lo vedevo. Era la prima volta che vedevo Giovanni.
Lui, al tavolo, non si era accorto di niente. Leggeva la Gazzetta, le prime pagine. Assorto dalle trattative di calciomercato, io ero rimasta al bancone con lo sconosciuto. Veniva da Milano e passava la vacanza in Riviera, con gli amici di una vita. Io ammicavo a quegli occhi color del cielo.
E, così, mi chiese di tornare il giorno dopo. Ridendo, tra una cannuccia e l’altra.
Con il cuore all’impazzata, l’ho fatto. Sola.
Ero un fiume in piena di parole, di gesti. Ero orecchie, bocca, mani quel pomeriggio. Raccontavo a lui quelli che erano i miei progetti. Quello che era la mia vita. E lui ascoltava. E parlava e ammicava.
E appena prima di andare, quando il sole ormai scendeva verso il mare, mi disse “Vieni via con me”. E io, con la bocca tremante e il cuore in bilico, andai.
Quelle rare domeniche di primavera in cui le bambine dormivano nella loro cameretta, mi prendeva la mano e, appena prima di tirarmi su di lui, Giovanni mi diceva “Vieni via con me”.
Come dieci anni prima, con la bocca tremante e il cuore in bilico, mi abbandonavo a lui.
Fine, pubblicità.
Lui, al tavolo, non si era accorto di niente. Leggeva la Gazzetta, le prime pagine. Assorto dalle trattative di calciomercato, io ero rimasta al bancone con lo sconosciuto. Veniva da Milano e passava la vacanza in Riviera, con gli amici di una vita. Io ammicavo a quegli occhi color del cielo.
E, così, mi chiese di tornare il giorno dopo. Ridendo, tra una cannuccia e l’altra.
Con il cuore all’impazzata, l’ho fatto. Sola.
Ero un fiume in piena di parole, di gesti. Ero orecchie, bocca, mani quel pomeriggio. Raccontavo a lui quelli che erano i miei progetti. Quello che era la mia vita. E lui ascoltava. E parlava e ammicava.
E appena prima di andare, quando il sole ormai scendeva verso il mare, mi disse “Vieni via con me”. E io, con la bocca tremante e il cuore in bilico, andai.
Quelle rare domeniche di primavera in cui le bambine dormivano nella loro cameretta, mi prendeva la mano e, appena prima di tirarmi su di lui, Giovanni mi diceva “Vieni via con me”.
Come dieci anni prima, con la bocca tremante e il cuore in bilico, mi abbandonavo a lui.
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