Un'idea che avevo in mente da un po'.
Da prendere un po' così come viene. Sono scene di un racconto che ho chiuso nella mia testa e sotto le mie unghie. E che metterò qui. Puntata dopo puntata.
Da prendere un po' così come viene. Perché non sono una scrittrice e perché le parole mi escono una dietro l'altra senza pensarci. E di solito portano una storia. Come in questo caso.
Da prendere un po' così come viene. Perché a volte non si capisce dove voglio arrivare ma, prima o poi, arrivo.
Si comincia. Buona lettura lettori.
Le tue mani appiccicose sulla mia giacca verde smeraldo. E una chiazza sulla spalla.
Ti avevo staccato da me. Perché dovevo ricominciare a vestirmi da capo e cambiare maglietta, pantaloni e giacca. Tu mi guardavi, seduta sul letto e controllavi tutti i movimenti nella stanza. Ricordo. Non mi staccavi gli occhi di dosso. Controllavi che non uscissi dalla stanza. Avevi paura a rimanere da sola. O forse semplicemente ti annoiavi e volevi vedere movimento.
Mi sono guardata nello specchio riflesso e tu mi sorridevi, nella tua vestina bianca.
Che begli occhi che hai, ho pensato. E come assomigliano a quelli del tuo papà.
Poi via, di fretta. Come sempre. Ricordi indistinti.
Porta, scale, macchina, seggiolino.
“No, dai, non piangere. Un attimo solo e poi partiamo. Guarda che bello questo orsacchiotto. Prova a prendere il ciuccio”. Metto in moto la macchina, la prima. E i soliti dieci chilometri.
Come sempre. Ti guardo l’ultima volta nello specchietto. Ciucciavi il dito di quelle mani appiccicose. Devo lavartele, prima di lasciarti al nido. Ho pensato.
Fine, pubblicità. Alla prossima.
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