sabato 4 febbraio 2012

D. Lgs. n. 276/2003

Sono una precaria. O meglio un progetto. Questo significa che ho un compito prefissato che devo portare a termine. Un termine che varia a seconda delle ispirazioni dirigenziali. Un progetto che varia al variare del vento.
Faccio parte della schiera dei giovani senza contratto. Di quelli che lavorano per anni con più "senza" che "con". Senza ferie, senza malattia, senza maternità, senza permessi di qualsivoglia genere. Con uno stipendio, misero ma quello sì.

Quindi non mi dovrei lamentare, non lo sto facendo infatti. Perché c'è chi sta peggio di me. Quelli senza il lavoro, quelli che sono al freddo tutto il giorno, quelli che devono faticare, sudare per avere una paga. Io sono al caldo quando fa freddo, al fresco quando l'aria è soffocante. Io faccio andare il cervello più che le mani nel mio lavoro. Io posso concedermi la pausa caffé. Io ho un contratto (!) a 24 anni. Una rarità.

Però oggi c'è una strana congiunzione astrale che mi porta ad essere negativa, pessimista e arrabbiata. Sarà stata la neve, il ghiaccio, la macchina incastrata, le gomme ovalizzate dal freddo.
E quindi sono arrabbiata. Perché esistono contratti come il mio. Perché questa forma di lavoro rende le persone tristi, insicure. Priva i ragazzi della visione del futuro. Li rende abitanti del presente, un presente di quattro, cinque, sei mesi. Poi chissà. Lavorare così fa perdere fiducia in sè stessi. Fa odiare il proprio collega. Fa perdere passione per quello che si sta facendo. Fa venire al lavoro con la febbre, contagiando tutti. Fa perdere eventi importanti nella vita perché non si possono perdere tante ore. E' essere stanchi perché si hanno orari massacranti. E' avere tanti obblighi e pochi privilegi.

E parlo di ragazzi, parlo di donne. Giovani donne che come me sono ad una fase decisiva della loro vita. E' il momento degli anelli, delle fedi e dei pancioni.
E' possibile anche solo parlarne?

Perché la nostra società è arrivata al punto in cui vedere una ragazza di 24 anni nel reparto maternità è un evento eccezionale? Perché gli abiti da sposa sono ormai tutti da "signora" over trentacinque? Perché desiderare una famiglia è ciò che spaventa di più al giorno d'oggi? Perché la famiglia è la base della società ma viene praticamente inibito dalla realtà quotidiana?

Quando ero una bambina avevo tanti sogni nel cassetto. Essere una mamma, era il primo della lista. Lavorare con i libri in una libreria era il secondo.
Qualcosa si è realizza, qualcos'altro no. Perché a conti fatti, un sogno deve inibire l'altro?

Andrea ha trent'anni. Vita precaria. Fa parte della generazione mille euro. Un lavoro mediocre, una vita mediocre. Perché con mille euro i sogni arrivano fino a lì. Non si tenta qualcosa in più, non ce lo si può permettere. Una vita monotona fino a quando si raggiunge il punto sublime della propria vita nel modo meno convenzionale possibile. Perché per una donna si possono fare pazzie. E abbandonare l'Italia.

Buona lettura lettori,
Giulia


Marcello Pozzato,
Il punto sublime,
Roma,
Fazi,
2010






Continuerò a parlarne in questo Concorso Letterario a cui parteciperò: I make my job, I make my future.

Nessun commento:

Posta un commento